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BUSINESS

31/01/2024

Due grandi storie di provincia

Vittorio Tadei e Adriano Olivetti, Teddy e Olivetti: due storie d’impresa italiana, sorte nel dopoguerra italiano di provincia. Due storie diverse ma caratterizzate dallo stesso Sogno: costruire qualcosa di grande e duraturo nel proprio territorio, fondato sul senso di appartenenza e sulla comune visione dell’impresa a forte vocazione sociale e comunitaria. Una storia fatta di sogni che diventano realtà e di visioni concrete, figlia del tempo e del luogo, ma che lascia una forte eredità valoriale ancora oggi.

 

“La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”.

Questa è una delle frasi più celebri di Adriano Olivetti e forse anche quella che meglio sintetizza, incarna, la sua visione imprenditoriale. L’impresa vista non solo e non tanto come un luogo di lavoro che deve generare profitti, quanto una realtà sociale che si pone come primo obiettivo quello di creare le condizioni affinché i lavoratori si sentano a casa e possano così realizzarsi economicamente, culturalmente e umanamente.  

La dignità del lavoro, la solidarietà sociale, la dimensione comunitaria sono i valori che la ispiravano e che hanno dato vita ad una delle esperienze imprenditoriali maggiormente vincenti e al tempo stesso rivoluzionarie e visionarie del secondo dopoguerra. 

Ancora oggi, infatti, questa visione aziendale, queste parole, suonano come attuali e non del tutto compiute, figuriamoci settanta, sessanta o anche cinquanta anni fa. E figuriamoci in provincia, da dove queste parole e questa visione provenivano. A Ivrea dovevano sembrare, all’inizio, troppo sognanti per essere vere, troppo utopistiche perché si concretizzassero nella realtà. E invece sono state la solida base di un’azienda che, partendo dalla profonda provincia torinese, è stata in grado di trasformarsi in una grande multinazionale, senza mai dimenticare gli insegnamenti di Adriano, figlio del fondatore Camillo, che l’hanno resa una vera e propria avanguardia socio-culturale. 

Chissà se Vittorio Tadei, quando nei primi anni ‘60 fondava a Rimini il primo negozio di quello che sarebbe poi diventato il Gruppo Teddy, si sia ispirato in qualche modo - o abbia preso spunto - all'esempio di questa straordinaria esperienza imprenditoriale. Noi questo non lo sappiamo, ma a giudicare dai valori che hanno guidato la sua azione (sia umana che imprenditoriale), non si può fare a meno di notare una comune visione “umana” dell’azienda. 

Le similitudini tra Vittorio e Adriano, tra la Olivetti e Teddy (e in fondo, per come hanno interpretato il loro lavoro, questa potrebbe essere una ripetizione inutile), infatti, sono molte e ci danno il senso di un sentire comune, una stessa visione dell’impresa e del lavoro. 

Due caratteri inquieti e indomiti che trovano nella propria creatura imprenditoriale un senso della propria vita: l’azienda non è per loro semplicemente un luogo di lavoro, è la famiglia, un figlio, l’amore di una vita. Ma l’azienda è soprattutto l’ambiente naturale in cui i lavoratori devono e possono realizzarsi, ne sono loro il cuore, il fulcro, il fine. Vittorio lo chiamava “Sogno”, Adriano “vocazione sociale”, ma il risultato non cambia: o l’impresa è una realtà sociale, al servizio di un lavoratore che la vede come casa, o l’impresa assume una forte funzione solidale, comunitaria, sociale, o semplicemente non è.

Del resto, le iniziative messe in campo dalle due realtà, in questo senso, sono estremamente esplicative: dagli asili per i figli dei lavoratori, le case popolari, il tempo ricreativo e culturale aziendale di Olivettiana memoria, al programma di cittadinanza d’impresa, la fondazione Gigi Tadei e le molte altre iniziative solidali volute da Vittorio. 

Chiare testimonianze di una comune visione dell’azienda, che vede l’uomo e i suoi bisogni al centro: una dimensione umanistica attorno a cui costruire il senso stesso della vita. E del lavoro. Un senso che si fonda, però, anche sull’idea che un ambiente di lavoro familiare e a misura d’uomo, in cui il lavoratore si senta bene con se stesso e con gli altri, crei le migliori condizioni affinché anche i risultati economici dell’azienda possano beneficiarne.

Forse questo spirito anticonformistico lo hanno preso dalla provincia, altro aspetto che li accomuna: di Ivrea Adriano, di Rimini Vittorio, hanno respirato l’odore dell’omologazione e della noia tipiche di chi vive alle porte dell’Impero e da questi hanno attinto la linfa vitale per opporsi all’inerzia e costruire, in direzione ostinata e contraria, due realtà tra le più visionarie, più uniche che rare, del Paese. 

Per altro alla provincia hanno anche restituito molto, permettendo a migliaia di persone, lavoratori, famiglie, di potersi realizzare umanamente e professionalmente nella propria città, che hanno contribuito a valorizzare economicamente,  demograficamente e socialmente. Vittorio e Adriano il destino ce l’avevano nel nome, ma la loro vittoria l’hanno costruita a loro modo, stando sempre dalla parte dei più deboli, mettendo in ogni occasione al centro la dignità del lavoratore che, prima di tutto, per loro era un uomo.

 

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