Loading...

BELONG To The World

In arrivo il sequel de Il Diavolo veste Prada: cosa ci ha insegnato il primo film?

La notizia è ufficiale: dopo anni di attesa, il sequel de “Il Diavolo veste Prada” potrebbe arrivare sul grande schermo entro la fine del 2025. Per i fan della pellicola diventata un cult, questa è l’occasione perfetta per tornare a immergersi nelle dinamiche brillanti e spietate del mondo della moda, raccontate con ironia, intensità e un pizzico di cinismo. Ma prima di proiettarci nel futuro, vale la pena riflettere su ciò che il primo film ci ha insegnato. Perché, dietro il glamour e i colpi di scena, ci offre spunti preziosi su temi universali come il lavoro, il successo e l’autenticità.

24/01/2025
  • FUTURO
  • CARRIERA
  • AMBIZIONE

E per una realtà come la nostra, che guarda alla moda non solo come un’espressione estetica, ma anche come un linguaggio di appartenenza e comunità, il film offre uno specchio in cui riconoscere i propri valori e differenziarsi da dinamiche che appartengono a un’altra visione del mondo.

Una delle scene più iconiche del film è quella in cui Miranda Priestly, l’algida e sofisticata direttrice della rivista “Runway”, spiega alla giovane assistente Andrea Sachs che persino una semplice t-shirt blu non è mai “solo una maglietta”. Dietro ogni capo d’abbigliamento c’è un intero ecosistema fatto di scelte stilistiche, di visioni e di messaggi. La moda, in questo senso, non è mai qualcosa di puramente estetico, ma un linguaggio che parla di chi lo indossa.

Anche per noi, l’abbigliamento è interpretato come una forma di espressione personale e collettiva. Ogni collezione è pensata per dare voce all’individualità delle persone, attraverso capi che non siano solo belli da vedere, ma che permettano a chi li sceglie di raccontarsi e sentirsi parte di qualcosa di più grande. Tuttavia, mentre nel film questa prospettiva sembra limitata a una ristretta élite che detta tendenze, Teddy, con i suoi brand, si muove in una direzione opposta: abbracciare e valorizzare tutti, dando a ciascuno la possibilità di sentirsi incluso e rappresentato attraverso uno stile che accoglie e rispecchia la propria unicità.

 

 

 

 

 

Il film, d’altra parte, mostra con grande forza il prezzo che le persone possono pagare per adattarsi a un ambiente di lavoro tossico: Andrea Sachs, inizialmente una giovane donna brillante ma distante dalle logiche gerarchiche e arriviste del mondo della moda, si trova progressivamente a diventare proprio ciò che in principio disprezzava. Per farsi strada e guadagnarsi l’approvazione di Miranda, abbraccia un sistema che premia l’ambizione a ogni costo, a discapito della propria autenticità e delle relazioni personali.

Solo alla fine del film Andrea realizza quanto si sia allontanata da sé stessa. In un momento catartico, decide di gettare il cellulare, simbolo delle richieste incessanti e della pressione lavorativa, e di abbandonare un percorso che la stava trasformando in una versione di sé che non le piaceva. Questo momento non rappresenta solo una scelta individuale, ma è una chiara riflessione su come una cultura aziendale non adatta alle esigenze umane delle persone possa avere conseguenze negative anche su chi è più motivato e di talento. Il risultato? Una talent retention fallimentare, perché nessuno può prosperare a lungo in un ambiente che soffoca il benessere personale e l’autenticità.

Noi, al contrario, crediamo nella costruzione di una cultura aziendale inclusiva e sostenibile, dove le persone siano valorizzate come tali, prima ancora che come risorse. Crediamo che la piena realizzazione non debba mai essere raggiunta sacrificando l’identità o il benessere di chi lavora con noi. In Teddy, ogni collaboratore è parte di una comunità che desidera prendersi cura delle sue esigenze uniche, offrendo supporto per una crescita professionale e umana equilibrata e soddisfacente. Il percorso di Andrea non è solo una lezione sull’ambizione, ma anche una riflessione su come il successo autentico non consista nell’adeguarsi a modelli imposti, ma nel trovare un equilibrio tra ciò che desideriamo e ciò che siamo davvero. La sua scelta finale dimostra che rinunciare a sé stessi per conformarsi a un ambiente che non ci rappresenta non può mai portare alla vera realizzazione personale.

Questo messaggio risuona profondamente nei nostri valori. Per noi, il lavoro è un’occasione di crescita personale e professionale che deve sempre rispettare l’autenticità di ciascuno. Non crediamo in un’idea di successo che impone sacrifici irragionevoli, ma in un modello che mette al centro le persone, valorizzando il loro contributo senza mai chiedere loro di rinunciare a ciò che le rende uniche.

Il Diavolo veste Prada, dunque, non è solo un racconto affascinante sul mondo della moda, ma anche un monito. Ci invita a riflettere sull’importanza di creare ambienti di lavoro in cui le persone possano realizzarsi professionalmente e umanamente senza essere schiacciate da aspettative irrealistiche, ma al contempo spronando ognuno a dare il meglio di sé nei luoghi in cui si è chiamati a lavorare.

Per noi, è uno spunto per continuare a interrogarci, a costruire una cultura aziendale basata su inclusività e senso di appartenenza. La moda è una celebrazione della nostra unicità, ma il successo di un’azienda sta nel saper creare non solo capi che raccontino storie, ma anche ambienti in cui le persone possano sentirsi parte di un sogno condiviso, senza mai dover sacrificare sé stesse per raggiungerlo.