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Italiamania: comunicare troppo può essere rischioso?
Dal fenomeno dell'overtourism, con Rimini al primo posto tra le mete italiane, al celebre articolo del New York Times su Bologna, analizziamo pro e contro dell’eccesso di comunicazione

Quello dell'overtourism è uno dei fenomeni più discussi degli ultimi anni, un dibattito in cui i toni allarmati si alternano ai commenti soddisfatti e orgogliosi di chi, invece, vede nella riscoperta dell’Italia come meta turistica solo un vantaggio per il Paese. Ma prima di addentrarci nell’analisi curiosa del fenomeno, proviamo intanto a definirlo: cos’è davvero l'overtourism e che cosa lo alimenta?
La domanda può sembrare scontata ad una prima lettura, ma ciò che cela è in realtà un dato curioso: quando i turisti diventano “troppi”? L’allarmismo con cui i media e i social ci raccontano mete invase da vacanzieri, da esploratori dell’ultima ora sembrerebbe quasi in controtendenza rispetto agli altrettanto allarmanti titoli che hanno scandito l’estate 2025, tra spiagge semi deserte e stabilimenti in crisi. Qual è, dunque, la realtà?


Come spesso accade, le due narrazioni non si escludono a vicenda. Intanto, cominciamo col dire che si parla di overtourism quando il numero di turisti in visita in una certa località, in questo caso faremo riferimento al fenomeno italiano, supera la capacità di accoglienza e gestione del luogo, causando così disagio e aumentando i disservizi per i residenti. Partendo da questa definizione potremmo chiederci per quale ragione, un Paese come l’Italia, da sempre celebre e ricercato per le sue bellezze non riesce, in alcuni casi sia chiaro, a mettere in campo un sistema di accoglienza commisurato all’interesse che le sue città suscitano nel mondo. Una prima, parziale risposta, perché trovarne usa esaustiva sarebbe davvero complesso, è che in passato è stata sottovalutata l’attrattiva dei nostri piccoli borghi, da qualche anno invece oggetto di un nuova e più vivace comunicazione da parte di Enti, quanto da influencer che scoprono la bellezza del ritmo lento della vita e di quei paesaggi che, in realtà, costituiscono il cuore del fascino italiano. Piccoli borghi, stradine in genere poco affollate, aria di campagna, ma anche monti, calette raggiungibili solo a piedi, hanno esercitato, mai come negli ultimi anni, un fascino irresistibile oltreoceano e non. L’arrivo in massa dei turisti, al netto dei disservizi, ha avuto almeno un risvolto positivo: anche noi italiani abbiamo imparato a scoprire il nostro Paese.
Degna di nota è poi la scelta decisiva di italiani e stranieri che hanno eletto la città di Rimini come meta privilegiata delle loro vacanze. La località della Riviera Romagnola non è certo nuova all’interesse da parte dei turisti e, infatti, parlare di overtourism nella città di Fellini, ha retto poco. Rimini conosce se stessa, conosce bene il suo valore e ci scommette, puntando su servizi, intrattenimento, la cultura e l’accoglienza, alla lunga, un’offerta che ha fatto vincere alla città più di una scommessa. Noi lo sappiamo bene dato che è proprio a Rimini che si trova il nostro headquarter, è qui che ha sede l’origine della nostra storia, contaminata e vivificata dalla stessa consapevolezza di un valore che si rinnova nel tempo. L’attenzione all’accoglienza è da sempre, nella nostra esperienza aziendale, un punto fondamentale, ma alla radice di questo valore che abbiamo sperimentato negli anni, c’è soprattutto la costruzione di uno sguardo nuovo sulla realtà, un modo di guardare che ci aiuta a costruire, ad essere positivi e propositivi in modo creativo e mai artificioso e soprattutto a guardare all’altro, al nuovo senza averne mai timore. Al contrario, l’incontro con la diversità, diventa fonte di ricchezza e strumento vivo di conoscenza.


E ora, proviamo ad approfondire il secondo punto legato al fenomeno dell’over tourism, punto a cui abbiamo in realtà già accennato: la comunicazione. Nell’Italia che riscopre se stessa, il racconto della meraviglia diventa condiviso, non solo nei passaparola che travalicano i confini nazionali, perché quando si vede qualcosa di davvero bello la prima esigenza è quella di dirlo, ma in rete, sui social, attraverso i media. L’Italia è stata chiacchieratissima online e sui media tradizionali.
Mentre il New York Times ha acceso i riflettori sulla città di Bologna, criticando proprio quella scelta di pensare ai turisti come semplici consumatori e non come spettatori curiosi di qualcosa di altro, di diverso dalla loro quotidianità, influencer e content creator hanno pian piano svelato i segreti delle città da veri local. L’autenticità è diventato l’ingrediente vincente, sentirsi a casa, lontani da casa, assaggiare il vero sapore di un luogo ha fatto la differenza e la curiosità leggera si è trasformata in azione. Le persone, come sempre, hanno individuato subito i tesori su cui puntare, hanno comunicato, tanto, e il nostro Paese si è ritrovato invaso da gente che non vede l’ora di scoprirlo.

E ora la domanda conclusiva, quella da un milione di dollari come si suol dire: tutto questo è un bene o un male? L’unica risposta sincera è un gigantesco “dipende”, ma c’è un aspetto forse più interessante: e se anche noi ci unissimo alla schiera degli affascinati dalla bellezza del nostro Paese? Cosa accadrebbe se anche il nostro sguardo diventasse autenticamente curioso sulla nostra storia, amante della verità dei nostri paesaggi, conquistato dalle diversità di ritmi, dalla eredità di generazioni? La scommessa definitiva è rendere quella curiosità, quel fascino un lavoro costante, una scommessa per il futuro che sia in grado di costruire e preservare, rilanciando una storia che non sa di nostalgia, ma di certezza del valore.