belong to everyone
Il lavoro che genera persone
Dalla Piazza dei Mestieri all’esperienza di Teddy: il lavoro come luogo di crescita personale e comunitar

Con questo contributo, continuiamo a popolare quello spazio di Belong dedicato ad accogliere voci d’autore, capaci di offrirci sguardi esterni ma profondamente affini. Prospettive diverse, provenienti da mondi differenti (dal sociale al culturale), che entrano in dialogo con la nostra visione del lavoro, della persona e della comunità.
A firmare questo intervento è Cristiana Poggio, vicepresidente e cofondatrice di Piazza dei Mestieri, una realtà torinese che da anni accompagna i giovani in un percorso educativo in cui il lavoro diventa scuola di vita. In Piazza, infatti, non si trasmettono solo competenze, ma si costruiscono legami, si impara la responsabilità, si scopre il proprio valore nel fare insieme.


Cristiana ci guida in una riflessione sul lavoro come spazio di crescita umana, mettendo in relazione l’esperienza della Piazza con la cultura d’impresa di Teddy. Due storie che, pur partendo da ambiti diversi, condividono la stessa idea di fondo: che il lavoro, quando è vissuto dentro una comunità, può generare molto più di un risultato economico. Può generare persone.
Un contributo che ci parla in profondità e che arricchisce il nostro percorso, aiutandoci a dare parole nuove a ciò in cui crediamo ogni giorno.
di Cristiana Poggio
Il lavoro non è soltanto il luogo dove si produce valore economico. Sempre più spesso, soprattutto per le nuove generazioni, è lo spazio in cui si cerca un senso, una comunità e un’occasione di crescita personale. È dentro questo intreccio tra professione e vita che il lavoro può diventare una leva di sviluppo umano, oltre che sociale.

Piazza dei Mestieri: imparare il mestiere, ma anche la vita
Entrare in Piazza dei Mestieri a Torino significa respirare un’idea semplice e radicale: che il lavoro sia scuola di vita. Qui i ragazzi non imparano solo a cucinare, a servire in sala, a produrre birra artigianale o a lavorare nel settore grafico. Imparano a stare insieme, a rispettare tempi e regole, a prendersi responsabilità.
L’esperienza della Piazza dei Mestieri nasce proprio da questa intuizione: il lavoro come luogo di apprendimento e di costruzione di sé. In Piazza, i giovani vengono accolti non solo per imparare un mestiere, ma per essere accompagnati a scoprire le proprie inclinazioni, i propri talenti, a misurarsi con responsabilità concrete, a vivere la bellezza della socialità dentro un contesto lavorativo. Non è semplicemente formazione professionale: è una palestra di vita, dove il lavoro educa e plasma, dove la competenza tecnica va di pari passo con l’educazione al gusto, alla creatività, al convivere con gli altri.
«Non formiamo solo professionisti, ma persone, cittadini», dicono spesso gli educatori. In un’epoca in cui tanti ragazzi rischiano di perdersi, la Piazza diventa un porto sicuro.

Teddy: costruire qualcosa di grande insieme
Questa prospettiva trova un’eco significativa nella storia e nella cultura di Teddy. Fin dalla sua nascita, Teddy ha posto al centro una visione che supera il solo risultato economico, guardando al lavoro come strumento per “creare qualcosa di grande insieme”. L’impresa non è vissuta come somma di individualità, ma come comunità di persone che si riconoscono dentro una missione condivisa. La crescita di Teddy nel tempo è stata resa possibile da questa idea: che ciascuno, con la propria passione e responsabilità, contribuisce a un’opera più grande di sé.
Vittorio Tadei nel suo intervento in occasione dei cinquant’anni della Teddy, quello che sancisce il passaggio generazionale, dice, non senza commozione: “…perché la Teddy non è un’azienda come le altre, perché il suo motore non sono le strategie finanziarie o commerciali, ma la passione di chi ogni giorno arriva al lavoro con il desiderio di costruire qualcosa di grande che rimanga nella storia.”
Oggi questa visione è più attuale che mai. In un’epoca segnata da incertezze e cambiamenti continui, le persone non cercano solo sicurezza economica, ma soprattutto luoghi di lavoro in cui sentirsi riconosciute, valorizzate e messe nelle condizioni di imparare sempre. Vogliono lasciare un segno nella storia, vogliono spazi dove poter esprimere la propria creatività, dove crescere professionalmente senza rinunciare alla propria dimensione umana. In questo senso, il lavoro diventa occasione di incontro: con se stessi, con gli altri, con un significato che va oltre l’immediato.


Il parallelo tra Piazza dei Mestieri e Teddy ci mostra come l’impresa, quando è vissuta come comunità, può diventare davvero scuola di vita. È la possibilità di sbagliare e riprovare, di imparare da chi ha più esperienza, di scoprire il gusto del fare insieme. È la certezza che il proprio contributo, anche piccolo, ha un valore reale e riconosciuto.
Raccontare il lavoro come crescita umana significa allora ribaltare una visione riduttiva, che lo limita a contratto o prestazione. Significa riscoprirne la portata educativa: un luogo dove si forma il carattere, dove si sviluppa la responsabilità, dove si impara a condividere successi e fatiche. È in questo senso che il lavoro diventa generativo: di competenze, di legami, di futuro.
Oggi, quando parliamo di “attrattività” delle imprese, parliamo in realtà di questo: della capacità di costruire contesti che sappiano custodire e alimentare la crescita delle persone. Teddy lo ha fatto e continua a farlo, dimostrando che l’impresa può essere una comunità viva, dove ogni persona è messa in condizione di diventare più grande di ciò che immaginava. I ragazzi di Piazza dei Mestieri spesso dicono :“Facendo questo piatto, questa piega, ho scoperto che valgo”.

Ecco perché esperienze come Piazza dei Mestieri e Teddy dialogano, pur partendo da ambiti diversi. Entrambe raccontano che il lavoro non è mai solo lavoro. È incontro con gli altri, con se stessi, con una comunità. È un percorso di crescita che non si ferma alla tecnica, ma tocca l’umano.
Una sfida per tutte le imprese
Il dialogo tra Piazza e Teddy mostra che ogni azienda può diventare, se vuole, luogo di apprendimento e di generazione di senso.
È necessario però approfondire le condizioni che rendono il lavoro realmente educativo per i giovani di oggi. Nulla può essere dato per scontato: quello che valeva per la mia generazione non vale più automaticamente oggi. Basti pensare a fenomeni come la Great Resignation o alla difficoltà di diversi settori nel trovare personale. In fondo, è questa la domanda che si pongono in tanti oggi: “Vale la pena di lavorare qui?”. La risposta non passa più solo dalla busta paga, ma dalla capacità di un’azienda di diventare spazio di crescita e di futuro.
Innanzitutto è necessario che l’incontro con la realtà di un lavoro avvenga in un luogo “umano”, in una realtà socialmente identificabile e attiva; nel grande deserto di oggi non si può prescindere da questa preoccupazione.
Ma soprattutto sono necessari degli adulti, dei maestri che possano sfidarli ed accompagnarli a scoprire il loro valore, a riconoscerlo e ad essere disponibili a svilupparlo. Come è stato Vittorio Tadei e le persone che sempre lo hanno accompagnato.