Dai ritmi frenetici della cucina di Carmy Berzatto in The Bear, passando per la separazione netta tra identità lavorativa e personale in Scissione. La workplace tv racconta i cambiamenti in atto, con l’umanità come ancora di salvezza.
Cosa vogliamo dalle nostre vite? Quando ci svegliamo la mattina per andare al lavoro, cosa cerchiamo, cosa desideriamo? Usciti da una pandemia a cui non eravamo preparati, ci siamo trovati a fare i conti con domande più pressanti, mettendo in discussione lo status quo delle nostre vite. Costretti o invogliati a riavvolgere il nastro delle nostre decisioni per capire dove stessimo andando e se il percorso intrapreso fosse quello più corretto. E per percorso si intende tanto quello di vita, quanto quello lavorativo. Lavoro smart, Great resignation e “quiet quitting” sono tutti fenomeni fino a poco tempo fa quasi completamente sconosciuti, con cui abbiamo imparato a familiarizzare e, in alcuni casi, a valutare come opzione finale rispetto alla scelta conclusiva del nostro percorso di autoanalisi.
Per dirla con i numeri, il fenomeno della Great Resignation ha portato, tra il 2021 e il 2022, al numero record di 4,6 milioni di americani ad aver scelto di lasciare volontariamente il lavoro. Questo nei soli Stati Uniti. Sarà per questo, forse, che mentre la vita lavorativa diventa sempre più complessa e meno scontata, nelle serie tv vediamo un fiorire costante di racconti che analizzano l’ufficio, o meglio, per dirla in maniera più generale, gli spazi di lavoro e le dinamiche interne a questi ultimi, dove ogni giorni ci rechiamo per il desiderio di realizzazione personale, di crescita, di scoperta di sé.
Prendiamo il caso di “The Bear” e il successo straordinario delle prime due stagioni. La serie ideata da Christopher Storer ha avuto, e ha tuttora - una terza stagione è già stata annunciata - la qualità unica di riuscire a mostrare il lato umano e le fragilità di chi vive il mondo del lavoro. In particolare nei ritmi frenetici e quasi jazzati della cucina. The Bear è un magnifico racconto famigliare, che indaga la cultura del cibo ma anche dello stress causato dai ritmi lavorativi di chi passa le proprie giornate in cucina. Una workplace tv, come molte sono nate in questi ultimi anni sull’ onda delle nuove domande nate in questi anni e su una revisione delle nostre priorità.
Una puntata in particolare ci ha colpito, perché mostra con profondità e ironia l’evoluzione dei personaggi della serie, che mutano e imparano a conoscersi mettendosi in gioco, lasciandosi aiutare e correggere, nella relazione con colleghi e “compagni di brigata”.
Nella puntata numero 7 dal titolo “Forchette”, di una seconda stagione molto attenta al cambiamento dei singoli personaggi in ottica di un più grande cambiamento collettivo, il cugino Richie, interpretato da Ebon Moss-Bachrach, è uno sgangherato ma affascinante personaggio: miglior amico di Mikey - il fratello scomparso del protagonista Carmy - e padre di Eva, vive con angoscia il divorzio, l’incapacità di creare un dialogo con la figlia adolescente, e con spaesamento e frustrazione il suo ruolo al The Beef, il ristorante di Carmy. Richie è un tuttofare, non è uno chef, un imprenditore o un cameriere e, dopo tanti anni, ormai cinicamente continua a cercare il suo “posto nel mondo”.
Richie vive il proprio turning point quando viene inviato da Carmy a effettuare uno stage di una settimana in un ristorante stellato. È qui che il cugino scostante e scansafatiche conosciuto fino a quel momento subisce una trasformazione. Partito lucidando svogliatamente alcune forchette (da qui il titolo dell’episodio), con l’ascolto e la pazienza, e soprattutto nel rapporto con il suo temporaneo responsabile - un appassionato cameriere -, cresce durante l’arco dello stage, così come cresce il ritrovato rapporto con la figlia Eva. Nel ritrovare un nuovo sé, con uno scopo e con qualità riconosciute da chi lo sta ospitando lavorativamente, Richie evolve riscoprendo una nuova possibilità di vita. La crescita del personaggio lo porta a guardare la realtà con occhi nuovi, investendo tutto quello che ha riscoperto nella nuova attività di Carmy. “Impara a far parte di una squadra. Circondati di brave persone. Impara ad ascoltare”, perché “ogni secondo conta”. L’episodio si chiude con Richie che, a causa di alcune vicissitudini, prende il comando della brigata durante la serata inaugurale del rinnovato ristorante di famiglia, un momento da cui dipende il futuro di tutta l’attività.
La puntata “Forchette” riassume bene ciò che aveva in mente Vittorio Tadei quando scriveva il “Sogno”: “Il Sogno della Teddy è quello di costruire un’azienda in cui giovani e meno giovani, attraverso il lavoro riescano a dare un significato, un senso alla propria vita”. L’esperienza lavorativa, per noi in Teddy, è occasione privilegiante per scoprire di più se stessi, i propri talenti, la propria vocazione. Così come ha fatto Richie, lucidando forchette e guardando i propri colleghi innamorati di ciò che facevano.
Altra storia avvincente e provocatoria è quella proposta da “Scissione”, una serie a metà strada tra il thriller e la fantascienza, che racconta la vita negli uffici della Lumon, un’azienda misteriosa di cui gli stessi dipendenti non hanno chiaro il fine. La serie, diretta da Ben Stiller, analizza la dissonanza che spesso si vive nel rapporto tra mondo del lavoro e vita privata, una dissonanza alla base di alcuni fenomeni come quello della Great Resignation. In questo manifesto dell’assurdo possiamo vedere tutta la difficoltà non tanto del portarsi il lavoro a casa, ma quanto quella di portare la propria vita - piena e dinamica - sul posto di lavoro, intralciando la produttività.
In “Scissione”, grazie a un piccolo intervento, è possibile dividere in maniera netta le vite lavorative e private dei protagonisti, rimane solo l’abilità “operativa” dei personaggi.
La provocazione di Scissione sta nel creare un mondo dove è possibile scindere chirurgicamente la vita dentro e fuori dal lavoro. E’ fantascienza, infatti, perché ognuno di noi è unito: non può diventare un altro quando è a casa o al lavoro. O meglio, può farlo, ma i risultati possono essere alienanti. Occorre rispondere dove si è chiamati, a casa, al lavoro come da qualunque altra parte, e non vivere a compartimenti stagni.
Le prime parole che ascoltiamo guardando questa serie sono “Who are you?”. Il tema dell’identità del lavoro e dello scopo sono esplorati a fondo, andando a mostrare come il mondo del lavoro stia vivendo una fase assai complessa. Realizzare qualcosa attraverso il duro lavoro viene visto come parte di una vita completamente appagante e non solo il passo precedente al sollievo di una birra post lavoro. In “Scissione” i lavoratori si riuniscono per formare una comunità, i tuoi colleghi diventano tuoi amici, i tuoi compagni di viaggio.
Il lavoro non sarà mai, forse, solo e soltanto piacere senza fatica, ma è possibile immaginare una versione ricca di umanità, dove il senso di appartenenza e di famiglia siano concetti più concreti di semplici slogan salva immagine. Questo approccio al lavoro, umano e ricco di senso, è ciò che desideriamo sia, per colleghi e collaboratori, l’esperienza in Teddy che portiamo avanti inseguendo il Sogno di Vittorio e facendolo nostro, e che amiamo vedere, anche se solo per qualche frame, nelle scene ricche di sensibilità di una serie come “The Bear”, o nel rapporto tra colleghi di “Scissione”.